Cominciamo a toglierci un dente. C’è chi c’era e chi non c’era.
C’è chi era qui il 30 ottobre del 1997 e chi no. Ci sono quelli per i quali quest’opera enorme che si chiama Slam Dunk è soltanto uno dei fumetti sportivi più belli di sempre; poi c’è chi non c’era, ma è arrivato dopo, ci sono quelli delle Anime nights di MTV, quelli dell’Anime, quelli che: “Che figata questo doppiaggio pieno di parolacce”.
Infine ci sono quelli che non c’erano proprio, ma che sono arrivati dopo, o che non sono mai arrivati e che andranno al cinema a vedere The First Slam Dunk perché hanno scoperto gli Anime magari con Attack on Titan o My Hero Academia.
E poi ce n’è uno che ha comprato il fumetto quel giorno nel ’97, una settimana dopo aver perso la mamma.
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È qui che le cose si cominciano a fare difficili, perché è chiaro che per me non è possibile avere un rapporto normale con questo fumetto e con tutto quello che lo riguarda.
Ma è anche il motivo per cui non posso non parlarne, quindi sedetevi comodi e preparatevi perché andrà per le lunghe.
Ma siccome vi voglio bene, se semplicemente volete sapere com’è il film potete andare direttamente quaggiù: risparmiami i pipponi!
Chi c’era e chi è arrivato.
Fine ottobre 1997, esce nelle edicole e nelle fumetterie italiane il più influente spokon (manga sportivo) di fine millennio.
Chi c’era ne venne totalmente travolto.
Iniziava in modo canonico Slam Dunk, come praticamente tutti gli shonen dell’epoca.
Protagonista teppista, capelli strani, e la scintilla che fa partire la storia (nel nostro caso l’innamoramento del protagonista).
Prosegue in modo ancora più classico, fra gag per ridere e scene di lotte fra bande.
Sì, il nostro gioca a basket, ma è chiaro che non gliene frega nulla, lo fa per rimorchiare la ragazza.
E intanto la storia va avanti fra scazzottate e risate, fino alle prime partite.
E lì tutto cambia, perché piano piano c’è sempre più pallacanestro e sempre meno altro.
Ti coglieva alla sprovvista Slam Dunk, perché partendo da un canovaccio semplice, classico, addirittura banale e sovraesposto, ti tirava dentro delle partite serrate, con tavole incredibili, che però letteralmente venivano divorate a ritmo partita.
Ma poi ti sconvolgeva di nuovo, tornando a parlare di ragazzi, di teppisti che teppisti non erano. Di ragazzi che avevano problemi di autostima, di relazioni sociali, d’amore ma anche di figure genitoriali inesistenti e distanti, di coach che diventano punti di riferimento nel bene e nel male.
I ragazzi di Slam Dunk erano soprattutto ragazzi che cercavano un loro posto.
Esattamente come noi lettori.
Chi c’era è cresciuto con Sakuragi e gli altri, letteralmente. Ha fatto lo stesso viaggio, si è appassionato a qualcosa che non credeva potesse interessargli e si è esaltato per quello che ha trovato sulla strada; si è disperato per le sconfitte, si è commosso, ha gioito e ha tifato, come se fosse veramente al palazzetto.
Chi è arrivato lo ricordo. Era gente che non potevo soffrire. Appassionati dell’ultima ora, gente che non aveva mai letto un fumetto.
Qualcuno addirittura aveva preso per i fondelli noi, chiusi in fumetteria, veramente sfigati, che compravano questi albi con su delle donnine ammiccanti e che facevano le mosse della fusion di Dragonball.
Eravamo sfigati. Lo eravamo. Orgogliosamente sfigati, meravigliosamente emarginati e incompresi, diversamente profumati. Eravamo come gli Elio e le Storie Tese quando li ascoltavamo solo noi.
Vai a immaginare che purtroppo eravamo soltanto un botto avanti.
Quelli delle Anime Night furono i primi ad arrivare. Vedevano gli Anime perché li mandavano su MTV e quindi non erano da sfigati. Erano Anime i loro, mica cartoni animati…
Vedevano Evangelion e Cowboy Bebop senza capirci una mazza, ma li vedevano.
Quanto non li potevamo soffrire, quelli che sono arrivati.
Vai a immaginare che in realtà erano come noi? Beh, quasi.
Per chi è arrivato è stato l’anime a diventare un prodotto di culto. Lo è diventato per via del doppiaggio, mi dicono dalla regia. Per il fatto che fosse divertente, scanzonato e fracassone.
Io non lo so, davvero non lo so, perché non l’ho voluto mai vedere.
Di quelli che sono arrivati, non ce n’è stato uno, nemmeno uno, che mi abbia detto: “Ho visto l’Anime, mi sono appassionato al manga e me ne sono innamorato”.
Per loro, apparentemente, Slam Dunk era l’Anime.
Per me questo non poteva essere.
Questo libro mi ha cambiato la vita.
Mai sentito questa frase? “A me Jack Frusciante è uscito dal gruppo ha cambiato la vita”, per esempio.
“Prima di Cent’anni di solitudine ero un’altra persona”.
“Siddharta di Herman Hesse ha fatto di me quello che sono”.
Oh, io questa fortuna non ce l’ho avuta.
A me la vita non me l’ha mai sistemata nessun libro, ho fatto una fatica bestiale a venire a compromessi con me stesso. Da ragazzino non mi stavo simpatico nemmeno un po’.
I fumetti hanno cambiato la mia vita. Ho cominciato a leggerli da piccolo ma sono diventati praticamente un’attività a tempo pieno intorno ai 15 anni, quando ero un adolescente con i baffetti tipo pelo pubico in faccia, alto 1.50 e regolarmente preso di mira dai bulli a L’Aquila, una città non mia, dove i miei avevano deciso di trasferirsi, ignorando del tutto il mio parere o i miei sentimenti.
A pensarci ora ero un personaggio veramente bidimensionale. Se avessero fatto un fumetto con me come protagonista probabilmente non l’avrei letto.
I fumetti mi hanno cambiato la vita.
Da ragazzino bullizzato e solo, con un accento forestiero, diversamente alto, mi hanno trasformato in un ragazzino bullizzato, diversamente alto, con accento forestiero ma ben intrattenuto in un mondo di fantasie e con moltissimi amici ancor più sfigati e bullizzati di me!
Perché si sa, non esistono i valori assoluti, tutto è relativo.
E relativamente al mondo degli appassionati di fumetti, dei frequentatori della fumetteria di L’Aquila, non ero mica così sfigato, anzi.
Le cose andavano bene dai, nel frattempo ho guadagnato anche 30 cm, sono arrivato ad un dignitoso 1.80 e, scuola a parte, non mi potevo lamentare.
Poi è arrivato l’ottobre del 97 e io avevo 18 anni e non pensavo a nulla, perché a 18 anni puoi non pensare a nulla. Tutto andava male ma tutto andava bene.
Poi mamma non c’è più.
E tu cominci a pensare. Così, di botto. Tanti pensieri, che sinceramente non vorresti fare. Basta niente e tutto cambia davvero, altro che libri!
Per fortuna ci sono i fumetti. C’è Ortolani (ne parlo qui), c’è Goku che urla, Cell che urla più forte e Goku che urla così forte da diventare biondo.
Per fortuna c’è Hanamichi e ci sono i teppisti dello Shohoku.
I fumetti mi tengono compagnia, sono una prospettiva per il mio futuro, rappresentano anche un sogno, un obiettivo.
Ma come ho detto, Slam Dunk ti prende a tradimento e ti trascina nel basket.
Io ho sempre amato il basket. Ho giocato a basket, ma non sono mai stato un fanatico. Questo prima di Slam Dunk.
Le partite del fumetto, in particolare quelle contro il Ryonan e contro il Sannoh hanno cambiato il mio modo di vedere il gioco.
E quindi, sì, col senno di poi, dato che sono un uomo di 44 anni appassionatissimo di basket e che legge ancora fumetti, posso dirlo pure io. Quest’opera mi ha cambiato la vita.
The First Slam Dunk (at last).
Vi chiedo scusa quindi se davvero non riesco ad essere completamente oggettivo in questa recensione, c’è davvero troppo di me dentro.
Così come vi chiedo scusa per gli spoiler, perché questa è una recensione CON SPOILER, quindi, se non avete ancora visto il film, lasciate perdere.
Davvero, non dite che non vi ho avvisato… oh, ci metto anche un’immagine in mezzo così potete chiudere qui e andare via.
Siete ancora qui? Affari vostri.
The First Slam Dunk mette in scena la partita finale del manga, quella contro il Sannoh Kogyo.
LA partita. Quella contro la dinastia più vincente del basket liceale giapponese (i San Antonio Spurs).
Lo fa in maniera perfettamente fedele al manga, laddove per “perfettamente fedele” intendo proprio che rimette in scena le stesse, esatte, identiche azioni disegnate sul manga.
E lo fa in modo spettacolare!!!
Inoue decide di adottare una tecnica di animazione ibrida 2D/3D per fondere il suo riconoscibilissimo stile con i movimenti necessari per rappresentare una partita di basket in modo credibile.
Ecco, ora io ve lo dico, ero pronto al disastro totale!
Temevo tantissimo l’effetto Ajin. Avete presente Ajin? No?
È una serie anime uscita su Netflix che aveva la straordinaria caratteristica di generare delle immagini bellissime in ogni screenshoot.
Peccato che poi l’Anime è… animato, e quando si muovono e parlano sembrano dei pupazzi.
I primi trailer di The First Slam Dunk praticamente erano una serie di screenshot e io ero già con l’anima in pace, pronto a vedere Pinocchio che posterizza Lucignolo mentre la Fata turchina urla “Forza Paese dei Balocchi!!”.
Nossignore, niente affatto! Inoue aveva ragione da vendere e tutto funziona. Ovvero è bellissimo da vedere in ogni situazione, da fermo, in movimento, con gli occhi pieni di lacrime, sottosopra…
Non solo.
È anche credibile a livello sportivo.
Se si tralascia il problema di fondo di avere ragazzi di 17 anni così, è chiaro:
I giocatori, a prescindere dall’età dimostrata, si muovono come veri giocatori di basket! In modo sorprendente! Nel senso che sgomitano, si creano lo spazio usando il corpo, sbattono gli uni contro gli altri in modo assolutamente credibile.
Vi giuro, ad un certo punto Akagi porta un blocco per liberare Mitsui per il tiro da tre punti e volevo alzarmi ad applaudire!
The First Slam Dunk è l’Anime sportivo definitivo! Mai visto niente del genere, mai!
È una partita vera, credibile nella messa in scena (a parte il fatto che fanno parziali di 20 punti a testa, in una partita che finisce con meno di 90 punti).
Già solo per questo merita il biglietto.
Normalmente gli Anime giocano sull’iperbole per emozionare lo spettatore.
Ti aspetti ragazzini di 11 anni con un infarto in corso che segnano in rovesciata e poi diventano in bianco e nero.
The First Slam Dunk non ha bisogno di queste esagerazioni; è a tutti gli effetti un film sportivo. Ed è un film sportivo fatto dannatamente bene!
E questo è tutto, gente?
Quindi basta così? Il film è una partita di basket bellissima per appassionati di basket, con le stesse azioni del manga e quindi pure un fan service fatto benissimo?
Ma nemmeno per sogno!!!
Capiamoci, sarebbe bastato eh…
Per me e gli altri appassionati di basket, amanti del manga, The First Slam Dunk sarebbe andato bene anche così.
Perché rende giustizia ad una parte del fumetto che nell’anime non era mostrato (la parte più emozionante dal punto di vista sportivo).
Ma The First Slam Dunk è anche un film che ha impegnato Inoue per dieci anni. E Inoue non è soltanto un genio del disegno, ma è un autore a tutto tondo, capace di creare storie che lasciano il segno.
Ed è qui che entra in ballo questo ragazzo qui:
C’è un protagonista e non è Hanamichi Sakuragi, è Ryota Miyagi.
Il playmaker dello Shohoku è il nostro punto di vista, le azioni sono viste attraverso i suoi occhi ed è tutto suo il palcoscenico.
Il film parla di lui.
Ryota è uno dei personaggi meno approfonditi nel manga, è un dato di fatto.
Di lui ci viene mostrato il carattere esuberante, l’amore non corrisposto per Ayako, lo scontro con Mitsui, la sua voglia di dimostrare di essere in grado di battere i giganti intorno a lui (è sempre, per definizione, il più basso in campo).
Nel fumetto però, Ryota è un mezzo per esplorare altri personaggi.
Il suo amore per Ayako per esempio, si riduce ad essere uno specchio di quello di Hanamichi per Haruko, la sorella di Akagi. È il trucco narrativo per farlo diventare il migliore amico del protagonista.
L’essere un teppista è assolutamente ingiustificato. Non si capisce come mai sia un attaccabrighe, è così e basta.
Serve per avviare il meraviglioso arco narrativo di Mitsui. Fine.
Anche la sua passione per il basket non viene approfondita. È uno dei più forti playmaker della prefettura, per definizione e basta.
Di fatto è l’unico personaggio di tutto il manga che non ha una vera storia personale approfondita.
Oltre a Rukawa, ovvio, ma Rukawa è un simbolo, non un reale personaggio.
Mostrami che mi vuoi bene.
È tramite la storia di Ryota che The First Slam Dunk diventa realmente un capolavoro.
Ed è anche la prova che questa operazione non è soltanto un fan service, come qualcuno ha scritto.
L’impressione che ho avuto è che Inoue avesse davvero qualcosa da raccontare, che lo volesse davvero fare.
E quello che racconta è davvero bellissimo e difficile da digerire.
Inoue ci parla prima di tutto della difficoltà delle persone nel comunicare fra loro.
Ryota finisce in una situazione drammatica ed è solo un bambino. Perde il padre e poi il fratello maggiore, il suo vero punto di riferimento nella vita e nel basket.
Sota Miyagi è un campione. È già una promessa del basket, sa già che vuole sconfiggere il Sannoh Kogyo. Ha addirittura lo stesso numero della rivista che ha anche Akagi che, a quanto pare, ha motivato mezzo Giappone a sconfiggere gli odiati, invincibili campioni.
Solo che Sota parte per pescare dando buca al fratellino per il solito 1vs1. Lui gli augura di non tornare e quello non ritorna.
Quando si dice un piccolo trauma psicologico.
Che però è niente in confronto a quello che lo aspetta. Ovvero una madre che non riesce in nessun modo a esprimere i propri sentimenti nei confronti del figlio, che sembra distante, come se non avesse interesse a continuare, dopo aver perso il marito e il figlio maggiore.
Figlio che, fra l’altro, ha del tutto sostituito la figura paterna per il fratellino. Sota è un modello inarrivabile per Ryota.
A mio avviso The First Slam Dunk è un capolavoro per come mostra sentimenti della famiglia di Ryota. Ogni scena con la madre è allo stesso tempo pacata e potentissima.
È una donna che da una parte vorrebbe andare avanti, tanto che si trasferisce, che prova a superare i lutti terribili che ha subito, ma che non sa come gestire il figlio piccolo che invece non vuole dimenticare, ma vorrebbe invece sostituire il fratello.
Ryota sistematicamente fallisce, finisce nei guai, rischia di morire. È ad un passo dal baratro e sembra abbandonato a se stesso.
Dico sembra perché è proprio nei piccoli dettagli che si accumulano nel corso del film che è invece nascosto benissimo l’amore della madre.
Inoue è un maestro a raccontarci questa assoluta incapacità della mamma di Ryota di trasmettere il proprio amore apertamente. Ci fa credere davvero che Sota fosse il figlio prediletto e che l’altro sia solo fonte di problemi.
Ci chiediamo come mai lei non riesca ad essere più affettuosa; empatizziamo con il bambino che si sforza tantissimo di sostituire il fratello.
Questa costruzione trova poi il suo culmine con la lettera scritta da Ryota alla madre prima della partita decisiva contro il Sannoh che è indirizzata, appunto, “a mia madre”.
Una madre che però torna mamma, perché mamma è sempre stata, per tutto il film.
Solo che non riusciva a comunicarlo.
Ryota lo capisce e lo capiamo anche noi. C’è pochissimo detto e tanto mostrato. Sono i tempi, sono i termini, e la distanza fisica che piano piano si riduce.
Sarà che ora sono padre, non so, ma penso che tutto questo mi sarebbe sfuggito quando mi sono innamorato del manga.
Sono davvero grato ad Inoue per aver trovato un altro modo per aggiungere ancora tanto, tantissimo, a quello che sembrava già quasi perfetto.
Per me The First Slam Dunk è uno dei migliori Anime che abbia visto da molto tempo a questa parte. Offre diversi piani di lettura, è letteralmente perfetto per quello che riguarda l’aspetto sportivo ed è semplicemente una gioia per gli occhi.
Soprattutto è uno di quei film che non vedi l’ora di rivedere, e probabilmente sarà uno di quei film che rivedrò ad ogni occasione.
Davvero un grande ringraziamento ad www.animefactory.it per averlo portato nei cinema!
Appendice: dove nasce la storia di Ryota.
Per tutta la durata del film ho avuto un senso di deja-vu sulla storia di Ryota e Sota. Soprattutto la scena della pesca, nella mia testa, l’avevo già vista.
Dopo giorni ad arrovellarmi sono riuscito a ricordarmi che Inoue aveva in effetti già affrontato lo stesso tema in Piercing (ピアス Piasu?) (1998).
Pubblicato nel 1998, presenta la storia di Ryota, sia a livello grafico (a titolo di esempio il rifugio del ragazzo è identico in The Last Slam Dunk), sia in termini di storia.
Parliamo di una storia breve, con protagonista un ragazzo chiamato Ryo, che perde il fratello in un incidente in mare.
Ovviamente cambia la motivazione: Ryo vuole andare a pesca con il fratello, Ryota vuole che lui resti a giocare 1vs1 con lui, ma la scena è identica.
Rileggendo Piercing ho avuto la conferma delle intenzioni di Inoue.
Raccontare la storia di Ryota, perché è un personaggio trascurato nel fumetto, come sono sicuro avesse già intenzione di farlo nel ’98, quando è uscito questo fumetto.
È un segno dell’enorme amore che Inoue prova per i suoi personaggi, che si percepisce leggendo i suoi manga e che è uno dei motivi per cui è in grado di creare questi capolavori.
Sì, ok, ma come fai a dire che già in Piercing voleva parlare di Ryota?
Beh, lo dice lui stesso, non in interviste, ma direttamente nella storia: